A partire dagli inizi del XX secolo, i robot sono stati spesso impiegati per realizzare modelli animali e umani. Simulare un essere vivente con un robot ci permette di comprendere meglio i processi mentali e neurali che guidano il suo comportamento.
Oggi una nuova idea di ricerca sta prendendo piede nei laboratori di ricerca: i robot non vengono usati solo come modelli simulativi, ma anche come stimolo per gli altri esseri viventi
I primi esempi di questa idea di metodo risalgono agli anni ’80. Esempio di questo approccio è la ricerca pubblicata nel 1992 da Alex Michelsen e dai suoi collaboratori sulla rivista Behavioral Ecology and Sociobiology.
Lo studio ambiva a comprendere meglio come funzionasse la danza delle api, ossia la sequenza di movimenti e ronzii con cui le esploratrici segnalano la posizione delle fonti di cibo alle loro compagne. All’epoca si conosceva già il movimento complessivo della danza, simile all’8 orizzontale con cui noi simboleggiamo l’infinito. I ricercatori, inoltre, sapevano che la danza era in grado di direzionare le api, ma non erano sicurissimi in merito a quali caratteristiche quella danza dovesse possedere per comunicare la direzione corretta. In più, sapevano che la figura era accompagnata da alcuni movimenti peculiari, chiamati scondizolii, e che il suono emesso dalle ali giocava un ruolo cruciale nella comunicazione. Rimaneva però poco chiaro se, in questa complessa sequenza di movimenti, ce ne fosse qualcuno più significativo di altri nel segnalare direzione e distanza della fonte di cibo.
Dopo aver collocato il modello nei pressi degli alveari, i ricercatori hanno posto delle fonti di cibo e dei punti di osservazione a distanze prefissate. Un clic sul computer e hanno fatto partire l’ape meccanica.
I primi esperimenti sono serviti a comprendere se l’ipotesi degli studiosi sulle caratteristiche della danza fossero corrette e, dunque, il sistema artificiale costruito su di esse riuscisse realmente a instaurare una comunicazione con l’alveare. Gli studiosi hanno perciò provato a trasmettere le coordinate di alcune delle esche per vedere se qualcuno degli insetti presenti andava effettivamente a controllare.
La risposta è stata tiepida ma affermativa. Se il modello segnalava di procedere per 1500m nella direzione indicata, il 20-30% circa delle api che partiva alla ricerca di cibo seguiva le sue indicazioni. Se invece l’ape meccanica segnalava di muoversi solo per 250m, una percentuale piuttosto piccola di insetti proseguiva oltre.
Testata l’efficacia del canale di comunicazione, i ricercatori hanno cercato di capire quale componente della danza fosse preponderante nel trasmettere distanza e direzione.
Per farlo hanno deciso di provare ad emettere quelli che ipotizzavano fossero segnali contraddittori. Per esempio, mentre con lo scondizolamento le invitavano a cercare vicino, calibravano il movimento di ritorno dell’8 perché fosse quello che un’ape avrebbe compiuto se l’esca si fosse trovata ben oltre. Oppure calibravano il modello perché l’8 puntasse in una direzione e lo scodinzolamento in un’altra.
In entrambi i casi le api – invero un po’ confuse – hanno sempre prediletto il movimento di scondinzolamento per stabilire distanza e direzione, decretando la sua fondamentale importanza per la comunicazione interna all’alveare.
Quello qui presentato è solo uno dei molti esempi di studi fanno interagire animali o persone con le macchine al fine di comprendere se ciò che sappiamo, o ipotizziamo, degli altri esseri viventi è corretto o meno.
Sei curioso o curiosa di scoprire altri esempi di ricerca in ambito biorobotico? Clicca qui.