mi passi il cibo?

Negli animali, il comportamento sociale è essenziale per la sopravvivenza dell’individuo e della progenie. Gli esseri viventi interagiscono di continuo non soltanto con altri membri della propria specie, ma anche con individui di specie diverse: in casa, per esempio, gli animali domestici socializzano con noi in vari modi.

Studiare i comportamenti sociali dei viventi non è affatto facile. Un possibile approccio consiste nell’esporre più volte gli animali a contesti rigidamente controllati e vedere come reagiscono.

Facciamo un esempio. Per capire in quali modi i cani chiedono il cibo ai loro umani, dovremmo osservare il loro comportamento in presenza del padrone o della padrona in circostanze e contesti diversi.

Tuttavia, in questo tipo di esperimento, l’umano coinvolto dovrebbe comportarsi in modo identico in ogni prova sperimentale, così da rendere possibile confrontare le reazioni del cane.

Questo è evidentemente difficile… se non impossibile! Chiedere a un umano di comportarsi in modo esattamente identico, sotto tutti gli aspetti, significa chiedere davvero molto. Soprattutto se davanti c’è un cane che scodinzola implorando il cibo.

Ecco che i robot possono venirci in aiuto. Possono infatti comportarsi in modo perfettamente identico in più sessioni sperimentali, fornendo così stimoli sociali controllabili e ripetibili. Basta solo programmarli a dovere!

Così, la ricercatrice Anna Gergely e i suoi colleghi dell’Università di Eötvös Loránd di Budapest hanno utilizzato dei robot per studiare proprio il comportamento dei cani, indagando come questi interagiscono con gli esseri umani e oggetti inanimati per ottenere da mangiare.

Al cane veniva mostrato del cibo, poi nascosto sotto una scatola. Per ottenerlo doveva avvalersi necessariamente di un aiutante.

A chi rivolgersi?

Nella ricerca sono stati utilizzati due robot, chiamati “UMO meccanico” e ”UMO sociale”, identici tra loro se non per un dettaglio: il secondo aveva disegnati due occhi che al primo mancavano. All’esperimento partecipava anche un essere umano (“Umano meccanico”) a cui però veniva richiesto di produrre un comportamento “robotico”, sempre uguale, e di indossare un paio di occhiali per celare il suo sguardo.

UMO meccanico e Umano meccanico avevano lo stesso compito: non interagire con l’animale. UMO sociale, al contrario, era stato progettato per muoversi lungo la stanza, avvicinarsi alle ciotole vuote e a quelle con l’esca e ad attivarsi in risposta ad alcuni sguardi o movimenti del cane. Tutti gli UMO erano costruiti in maniera tale da poter consegnare il cibo all’animale.

La prima fase dell’esperimento era di familiarizzazione: i cani gironzolavano con i loro umani per la stanza e mangiavano il cibo messo a loro disposizione. Questa procedura è stata ripetuta più volte, anche con i robot e con l’umano nella stanza, così che il cane potesse prendere confidenza con l’ambiente. Nella seconda fase avveniva invece l’esperimento reale.

Solitamente, in situazioni dove il cibo non era accessibile, i cani interagivano con gli umani, aumentando il tempo di osservazione verso di loro e mostrando un’alternanza di sguardi tra il cibo e la persona. Un fenomeno riconducibile a quello dell’attenzione congiunta.

Ricordate quando abbiamo parlato di attenzione congiunta? Se no, guardate qui!

I risultati dell’esperimento hanno messo in evidenza, invece, come questi cercassero di comunicare anche con le macchine, instaurando la stessa alternanza di sguardi.

Non solo!

Dagli esperimenti è emerso che, tra UMO meccanico e Umano meccanico, era il robot ad attirare di più la loro attenzione. Una reazione spiegabile come curiosità verso un oggetto insolito oppure come diffidenza nei confronti di qualcuno che non si conosce.

Un altro risultato emerso dalla ricerca riguarda la variazione nel tempo delle richieste di interazione. Se all’inizio i cani cercavano di comunicare – sempre attraverso quell’alternanza di sguardi – con i soggetti, col passare del tempo la dinamica è cambiata. Essi hanno infatti mostrato una diminuzione della frequenza di alternanza dello sguardo verso entrambi i partner meccanici, mantenendola invece immutata nei confronti dell’UMO sociale. I cani hanno persino attuato verso di questo nuovi comportamenti sociali, quali piccoli tocchi.

La ricerca mette in evidenza due aspetti importanti. Il primo è che, più che il disegno degli occhi o i movimenti casuali lungo la stanza, a dimostrarsi vincente è l’interazione esplicita con l’animale. Il secondo è che il comportamento del cane varia adattandosi al suo interlocutore. Se gli sguardi non si dimostrano sufficienti a spiegare cosa desidera, il cane tenterà stimoli diversi: un tocco di naso, un abbaio, una scodinzolata. Tutti gesti volti ad arrivare al risultato.

Ricerche come quella condotta da Anna Gergely e i suoi colleghi sono importanti perché arricchiscono la nostra conoscenza dei comportamenti sociali delle altre specie animali.

Tuttavia è sempre bene ricordare che nessun risultato sperimentale può essere considerato come conclusivo e definitivo: studi ulteriori potrebbero correggerlo o addirittura stravolgerlo. Inoltre, bisogna essere sempre molto cauti nell’interpretazione dei dati sperimentali.

Come abbiamo messo in evidenza altre volte in questa rubrica, bisogna sempre ricordare che un robot potrebbe suscitare, nell’animale, reazioni differenti rispetto a quelle suscitate da un altro animale nelle stesse condizioni. Il robot è sì precisamente controllabile, ma questo non significa che sia sempre un buon surrogato dell’animale a fini sperimentali.

Questa considerazione non deve portarci a concludere che i robot sono sperimentalmente inutili. Impone però agli scienziati di giustificare in modo molto attento il fatto che quel robot, date le sue caratteristiche, può essere utile a studiare le reazioni animali. Fornire questa giustificazione non è certo facile, ma molti ricercatori biorobotici sono riusciti ad affrontare questo problema metodologico in modo adeguato.

Questo è solo uno dei molti esempi di studi che implicano l’interazione tra robot ed esseri viventi. Biorob nasce per raccontarli, riflettendo non solo sui risultati, ma anche sui processi che hanno portato a quei risultati!

Se vuoi leggere l’articolo scientifico ecco il link.