A partire dagli inizi del XX secolo, i robot sono stati spesso impiegati per realizzare modelli animali e umani. Simulare un essere vivente con una macchina ci permette di comprendere meglio i processi mentali e neurali che guidano il suo comportamento.
Oggi una nuova idea di ricerca sta mettendo radici, affiancando questa più antica branca di studi, dove i robot non sono più usati come modelli, ma come stimolo per gli altri esseri viventi.
A questo punto è lecito chiedersi perché usare un robot invece di un altro essere vivente.
Ebbene i robot sono manipolabili, controllabili e prevedibili. Possono stimolare l’animale nello stesso modo e con la stessa accuratezza senza stancarsi, oppure si può giocare con le caratteristiche del robot in modo da cambiare il tipo di stimolo.
Questo rende l’esperimento riproducibile e controllabile con molta precisione, cosa che non sarebbe possibile se a fornire lo stimolo fosse un altro animale.
Gli animali non sono in grado di riprodurre lo stesso comportamento più volte con la stessa accuratezza e, per ovvie ragioni etiche, non è possibile intervenire sul loro corpo per cambiare lo stimolo.
Ecco perché i robot, usati come “stimolatori sociali”, vengono utilizzati sempre più spesso. Ne è un esempio lo studio condotto dai ricercatori del BioRobotics Institute, a Pisa.
Questi hanno costruito un bio-robot dalle sembianze di un geco leopardo (Eublepharis macularius), ossia uno dei predatori delle locuste (ortotteri), per capire quale strategia di fuga adottassero dopo averne notato la presenza.
I ricercatori avevano due obiettivi: capire con che occhio le locuste tendessero ad osservare il predatore e capire da che lato scappassero.
Gli individui di locusta, presi singolarmente, sono stati posizionati in modo che vedessero il geco meccanico solo con l’occhio destro o solo con l’occhio sinistro. Dopo averli abituati alla direzione da cui osservavano il pericolo, i ricercatori hanno posto il robot frontalmente, per vedere se il condizionamento antecedente potesse influire sull’occhio con cui il geco veniva notato e sulla direzione di fuga.
Si è scoperto che la provenienza dello stimolo visivo ha condizionato la direzione del salto, ma non l’occhio con cui le locuste preferissero sorvegliare la zona, rimasto sempre il destro. Questo ci racconta come, a prescindere dalle predisposizioni naturali, le locuste adattino i loro comportamenti di fuga a seconda degli stimoli a cui sono state sottoposte nel tempo.
Sono numerosi gli studi che, nei vertebrati, hanno associato l’emisfero destro per il controllo della paura, mentre negli invertebrati ancora non è stato ampiamente documentato. I risultati fanno emergere una similitudine in questi organismi, potendo ipotizzare che anche negli insetti la parte destra del sistema nervoso controlli la paura e le risposte di fuga.
Ricerche con questa metodologia sono state affrontate con molti animali e anche con gli esseri umani, nei prossimi giorni ti mostreremo altri studi al riguardo.
Se vuoi leggere l'articolo ecco il link: https://doi.org/10.1242/jeb.187427